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  • L’astrofisica aostana Simona Vegetti: «così studio l’universo invisibile»
    Il telescopio spaziale Euclid, lanciato il 1° luglio scorso da Cape Canaveral (foto Esa)
    Persone e storie
    di Cinzia Timpano  
    il 11/07/2023

    L’astrofisica aostana Simona Vegetti: «così studio l’universo invisibile»

    Dal liceo linguistico Bérard, al Mit di Boston al Max Planck Istitute for Astrophysics, in Germania, dove attualmente lavora: da quasi vent'anni, la scienziata valdostana è impegnata nella ricerca sulla materia oscura

    L’astrofisica aostana Simona Vegetti: «così studio l’universo invisibile».

    Riproponiamo l’intervista di Paolo Ciambi all’astrofisica aostana Simona Vegetti, pubblicata lunedì 3 luglio su Gazzetta Matin. 

    L’astrofisica Simona Vegetti

    È iniziato al Liceo Linguistico Bérard di Aosta il percorso che ha portato l’astrofisica aostana Simona Vegetti dapprima al Mit di Boston e ora al Max Planck Institute for Astrophysics, in Germania.

    Nel 2012, a capo di un team di ricercatori, l’astrofisica valdostana ha scoperto una piccola galassia satellite di materia oscura a 10 miliardi di anni luce da noi.

    A Garching, nei pressi di Monaco di Baviera, dove lavora, Vegetti continua a occuparsi di lensing gravitazionale, per misurare l’abbondanza e le proprietà strutturali degli aloni di materia oscura.

    Dal liceo Bérard di Aosta…

    È iniziato in Valle d’Aosta, al Liceo Linguistico Bérard, il percorso che ha portato Simona Vegetti, di Aosta (ma i genitori sono di Châtillon e Saint-Vincent), dapprima al MIT di Boston e ora al Max Planck Institute, in Germania.

    «Per i miei studi superiori avevo scelto di approfondire le lingue straniere, ma mi stimolava l’idea di poter dare un senso a processi complicati e ridurli a concetti logici e comprensibili, la sfida di risolvere problemi nuovi e difficili.
    Così, mi sono iscritta alla facoltà di fisica a Torino» ricorda la ricercatrice.

    «Mi accorsi subito di avere una preparazione in matematica non sufficiente per affrontare con tranquillità quel percorso universitario.
    Allora, ho preso alcune lezioni private per migliorare le mie conoscenze.
    È comunque positivo che, nel sistema scolastico italiano, si possa accedere a facoltà universitarie da tutte le scuole superiori. All’estero, quasi sempre non è possibile».

    Il dottorato in Olanda, poi il Mit di Boston

    Da Torino, nel 2005 Simona Vegetti si trasferisce per il dottorato a Groningen, in Olanda.

    «È stata una mia scelta quella di un’esperienza all’estero e, a quasi 20 anni di distanza, ne sono molto contenta, perché ho avuto grandi opportunità professionali».

    Si presenta poi l’occasione di un post-doc al MIT di Boston.
    Qui, per Simona Vegetti e per il team di astronomi sotto la sua guida, arriva la scoperta pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature.

    Una galassia nana di materia oscura

    Da alcuni decenni, la maggioranza della comunità scientifica è persuasa che la materia “visibile”, per esempio protoni, neutroni ed elettroni, costituirebbe solo il 15% della massa totale del cosmo.

    La parte restante sarebbe costituita dalla cosiddetta materia oscura.

    Gli scienziati sono convinti che la materia oscura esista perché tutte le osservazioni concordano sulla sua presenza, grazie agli effetti gravitazionali che genera.

    «Si ritiene che la Via Lattea, la nostra galassia, dovrebbe avere migliaia di piccole galassie satellite, ma ne sono state osservate meno di 60.

    È dunque probabile che le restanti siano costituite di materia oscura e che l’intero universo dovrebbe essere ricco di queste galassie» spiega Simona Vegetti. «Durante la mia attività di ricerca al MIT, con il mio gruppo abbiamo scoperto una piccola galassia satellite di materia oscura a 10 miliardi di anni luce da noi.
    Per giungere a questa scoperta utilizzammo il fenomeno della lente gravitazionale, grazie al quale non abbiamo “visto” la galassia, ma l’effetto gravitazionale della sua massa».

    Il risultato, pubblicato nel mese di gennaio 2012 su Nature, riportava Simona Vegetti come primo autore: «Fu emozionante, una bella soddisfazione», ricorda la ricercatrice.

    Dal MIT al Max Planck Institute

    «Dopo qualche anno, mi sono resa conto che alcuni aspetti della vita negli Stati Uniti non mi piacevano e che mancava il giusto equilibrio fra lavoro e vita privata.

    Esempio di un sistema di strong gravitational lensing, dove una galassia piccolissima crea una perturbazione gravitazionale dell’arco. Maggiore è la risoluzione angolare dei dati, più piccole sono le galassie che si possono scoprire in questo modo

    Nel 2013 ho deciso di tornare in Europa, sfruttando una posizione aperta al Max Planck Institute for Astrophysics, a Garching, nei pressi di Monaco di Baviera, dove lavoro tuttora.
    Qui continuo a occuparmi di lensing gravitazionale per misurare l’abbondanza e le proprietà strutturali degli aloni di materia oscura» racconta Simona Vegetti, riferendo anche le differenze, per una donna, di occuparsi di fisica in Italia e all’estero: «Nel mio ambito, in Italia c’è un elevato numero di donne e, personalmente, nei miei anni di studio non ho avvertito discriminazioni.
    La mia opinione è che in Italia la ricerca non abbia il prestigio che si riscontra all’estero, dove, probabilmente per questo motivo, ho verificato una maggiore presenza di uomini nel mio ambito di lavoro».

    Scienza e donne

    La Max Planck Gesellschaft ha creato un programma per giovani scienziate di grande talento, nella speranza che possa aumentare in modo significativo il loro numero in posizioni dirigenziali.

    «È il Lise Meitner Excellence Program, all’interno del quale sono group leader del Gravitational lensing and its astrophysical applications group».

    Il programma prende il nome da Lise Meitner (1878 – 1968), una fisica austriaca che ebbe un ruolo essenziale nella scoperta della fissione nucleare. «Annualmente si organizzano meeting tra tutti i group leader.

    In più, con le altre Lise Meitner group leader siamo spesso in contatto virtuale via Zoom o Slack. Un’esperienza molto interessante: non capita spesso di poter interagire con un gruppo di ricercatrici tutte donne e in settori molto diversi».

    Scienza ma anche lettura, bouldering e montagna

    In Germania, Simona Vegetti riesce a coltivare anche i propri interessi extra lavorativi: «Mi piacciono la lettura, il bouldering e le camminate in montagna. Attività che riesco a fare più facilmente a Monaco, poiché le Alpi sono raggiungibili in un’ora di treno».

    Euclid: un telescopio spaziale per studiare materia ed energia oscura

    «Per la scoperta pubblicata nel 2012 su Nature, utilizzammo i dati del telescopio ottico Keck, alle Hawaii.
    Attualmente, elaboriamo i dati di più radiotelescopi tramite la tecnica dell’interferometria a base molto ampia (VLBI), che è come utilizzare un unico enorme telescopio di dimensioni pari alla massima distanza tra i telescopi del sistema», riferisce la ricercatrice.

    Un nuovo impulso per migliorare le conoscenze sulla materia e sull’energia oscura verrà dal telescopio spaziale Euclid, lanciato sabato 1° luglio da Cape Canaveral.

    Il lancio era previsto in origine nel mese di ottobre 2022, tramite un razzo russo Soyuz, ma la guerra in Ucraina e l’interruzione dei rapporti di collaborazione con la Russia hanno imposto un cambiamento.

    «Al Max Planck Institute ci sono colleghi russi e ucraini e il rapporto con loro non è stato intaccato dagli eventi internazionali.

    Come membro dello Euclid strong lensing group, sono impaziente di conoscere le migliaia di nuove lenti gravitazionali che verrano scoperte con questo telescopio. Il mio obiettivo è di riosservare questi nuovi oggetti con telescopi ad altissima risoluzione, come l’ELT, per poter studiare ancora più in dettaglio la materia oscura e le galassie “lensate”».

    Uno sguardo al futuro

    «Fin dal dottorato, il mio progetto a lungo termine è quello di testare vari modelli di materia oscura con il lensing gravitazionale» riferisce Simona Vegetti. «Nel frattempo, ho sviluppato un interesse per lo studio delle galassie ad alto redshift (le più lontane) e dei campi magnetici nelle galassie.

    In generale, sono attratta da problemi difficili, in cui l’uso dello strong gravitational lensing ci dà un vantaggio».

    La ricercatrice si sofferma anche sulle interconnessioni fra ricerca e sviluppo tecnologico: «L’astronomia ha sempre contribuito allo sviluppo tecnologico.
    Per esempio, i telescopi che costruiamo, sia sulla terra sia quelli che mandiamo nello spazio, richiedono tecnologie all’avanguardia, la cui applicazione è facilmente trasferibile ad altri settori.

    Questa connessione è importante, però credo che la ricerca scientifica abbia un suo valore al di là del possibile legame con lo sviluppo tecnologico ed economico.

    Trovo fenomenale l’idea che lo European Research Council, l’organismo dell’Unione europea che finanzia i ricercatori di eccellenza, ci permetta, con i suoi fondi, di dedicarci alla cosiddetta blue skies research, la ricerca di base.
    È sicuramente un privilegio poter fare ricerca motivata solo dal nostro desiderio di conoscenza, senza necessariamente doversi preoccupare delle applicazioni del mondo reale».

    Astronomia e divulgazione scientifica

    Infine, un accenno alla divulgazione scientifica: «L’astronomia è più facile da divulgare di altre discipline, perché ci sono belle immagini.
    Alla Max Planck Gesellschaft abbiamo varie attività di sensibilizzazione, open day, astronomy on tap (eventi in cui astronomi professionisti tengono conferenze scientifiche informali nei locali pubblici).

    Fra le tante risorse online, suggerisco di consultare il lavoro dell’astrofisica Katherine Mack (www.astrokatie.com), oppure l’iniziativa Skype a Scientist, che consente agli scienziati di organizzare videoconferenze con gli studenti nelle aule (www.skypeascientist.com)».

    Nella foto in alto, il telescopio spaziale Euclid, lanciato il 1° luglio scorso da Cape Canaveral (foto Esa).

    (paolo ciambi)

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