Ayas: Cecilia, dal Sud al Mezzalama per ritrovarsi
Persone e storie
di Elena Rembado  
il 07/10/2025

Ayas: Cecilia, dal Sud al Mezzalama per ritrovarsi

La caposquadra del rifugio più iconico della Valle, a 3036 metri, viene dalla Puglia e da un’esperienza quinquennale a Milano

Dalla Puglia al capo opposto dello Stivale, e non in un luogo qualsiasi, ma in un rifugio iconico della Val d’Ayas, a 3036 metri: l’Otorino Mezzalama del Cai di Torino, che ha compiuto l’anno scorso 90 anni e, del passato e degli albori dell’alpinismo, conserva tutto il fascino, in ogni suo dettaglio, incluse l’insegna gialla del telefono sulla facciata, la camerata unica coi tavoli e il bagno spartano all’esterno.

Cecilia Mercadante ha girato il mondo, lavorando nella ristorazione anche a Londra, ma dopo 5 anni a Milano in un business hotel ha deciso che, per ritrovarsi, uscire da una depressione e dare un nuovo senso alla sua vita, aveva bisogno di natura e contatti reali e caldi con le persone. E ha iniziato a guardare verso Nord, mandando il curriculum in strutture tra le Alpi. Così, per un passaparola, è capitata all’Hôtel Campagnol di Champoluc, dove non era mai stata prima e dove ha lavorato per 4 stagioni (estive e invernali) nel 2021 e 2022, prima di diventare per 4 stagioni caposquadra al Mezzalama.

I racconti sulla vita e sul lavoro in rifugio in alta quota

«All’albergo di Champoluc ho iniziato a sentir parlare della vita in alta quota e del lavoro di rifugista e sono rimasta subito ammaliata», racconta Cecilia, che ha conosciuto il rifugio che l’ha fatta innamorare quasi per caso.

«Nei pomeriggi in cui ero libera dal lavoro in albergo esploravo tutti i sentieri della zona, mi era rimasto solo il Mezzalama perché uno dei più impegnativi.

La prima volta al Mezzalama

A settembre, quando il lavoro ha iniziato a calare, ho deciso di spingermi fino a 3000 metri, era un giorno nuvoloso, per cui con un po’ di inquietudine sono arrivata alla meta e, senza neppure entrare, ho fatto subito dietrofront per tornare al lavoro.

Un incontro scritto nel destino

Ho sentito dietro di me dei passi e, contrariamente a quanto faccio di solito, ho attaccato discorso con quel signore che scendeva a valle come me. Mi ha raccontato del rifugio, della vita a quella quota, del suo funzionamento e, arrivati al Pian di Verra, dove lui aveva la macchina, mi ha chiesto se volevo lavorare lì.

L’assunzione

A gennaio 2022, dall’hôtel di Champoluc, gli ho mandato la mail, sperando che si ricordasse di me, mi ha risposto il giorno dopo e sono stata assunta per la stagione estiva 2022. Un segno del destino quell’incontro».

La prima stagione a 3000 metri

Quando Cecilia è arrivata la prima volta al “Mezza”, che non aveva neppure mai visto dentro, era molto emozionata al pensiero che sarebbe stata in mezzo al nulla per tre mesi, da metà giugno a metà settembre, entrando in sintonia con una sola collega con la quale si doveva creare una grande fiducia reciproca e intimità.

«Lì diventi un tutt’uno con quello che ti circonda. Mi chiedevo se sarei stata in grado, non tanto professionalmente ma umanamente. Invece è andata benissimo, la prima stagione è stata la più bella. Mi sono innamorata del luogo e del rifugio, e ho ripreso ad amare questo lavoro, ho ritrovato la motivazione che avevo perso».

La squadra

«In alta quota sei una persona, non un numero. Con le 2 o 3 ragazze che mi aiutano si crea un rapporto strettissimo, si vive gomito a gomito e si diventa quasi sorelle. Siamo una squadra molto affiatata. Ho 32 anni e a volte vorrei una camera solo per me, ma gli spazi lì sono stretti per tutti, anche per gli ospiti, e il bagno è esterno».

La solitudine, a dispetto di quello che si potrebbe pensare, non è un problema. Anzi Cecilia a volte, quando lavora lì, vorrebbe stare un po’ da sola, ma questo è possibile solo a fine stagione, negli ultimi giorni di apertura della struttura. Negli ultimi anni il lavoro è triplicato e il contatto con la gente è continuo. Ma «si è stanche a fine giornata per un’ottima causa».

«Sono tutti legami autentici quelli che si creano in quell’ambiente. A mancare sono le piccole comodità quotidiane, che diamo per scontate, quali una doccia, la lavatrice, il riscaldamento, una pizza, le verdure e la frutta. Infatti, quando qualcuno sale e regala le pesche o l’insalata, è una gioia immensa».

A settembre emozioni contrastanti

A fine stagione Cecilia prova un mix di emozioni: la gioia di ritrovare le comodità ma anche la tristezza di sapere che per 9 mesi non rivedrà il Mezza, di cui le mancheranno la colazione con gli uccellini e lo stambecco che fa capolino in cucina. «Piango ogni volta che scendo. Mi aiuta il mio lavoro di guida escursionistica e il contatto con la natura che cerco di non perdere mai. Anche i cammini in solitaria mi aiutano. L’anno scorso sono stata 40 giorni nel sud della Spagna, in cammino da sola, per ricaricare le energie».

Per l’inverno non ha ancora trovato un luogo del cuore, equivalente al Mezzalama. Rifugge dai comprensori sciistici, prediligendo rifugi in zone battute da ciaspolatori o scialpinisti, che della montagna apprezzando, come lei, la natura e la lentezza. Si era trovata bene in Val Maira, ma è certa che il Mezza sia unico: «Mi affascina l’anima antica del rifugio vecchio stampo, rimasto fermo a 90 anni fa».

Le difficoltà

Aquella quota non mancano di certo i problemi e gli approvigionamenti arrivano solo in elicottero.

«Devi saper risolvere ogni problema, dai tubi che si gelano, al telefono che non funziona», dice Mercadante. «Bisogna inventare di continuo soluzioni. Invece di farmi sentire inadeguata, mi ha fatto sempre sentire di valere di più.

Il freddo è tanto, soprattutto a giugno e la mattina al risveglio per via degli spifferi notturni, ma l’ambiente è piccolo e si scalda facilmente, anche solo cucinando. talvolta si arriva perfino a 28 gradi nella sala ristorante. Si utilizza l’acqua di scioglimento del ghiacciaio, che non è potabile, ma è essenziale per lavarsi e per tutto il resto».

Ma quel che conta, per Cecilia, è che «la montagna fa sembrare piccoli i problemi».

(elena rembado)

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