Coronavirus, una studentessa valdostana in California: qui situazione molto grave, ho paura di contagiarmi
Il racconto di Elisa Raso che sta trascorrendo un anno all'ED International School di Saint-Francisco: è stata sottovalutata la situazione
«La situazione qui è grave e ho paura di contagiarmi». Elisa Raso, studentessa valdostana attualmente in California, racconta a Gazzetta Matin (giornale di lunedì 6 aprile) la sua esperienza.
La pandemia non risparmia nessuna nazione, prima fra tutte gli stessi Stati Uniti d’America che solo a metà marzo guardavano con scetticismo gli avvertimenti provenienti dall’Europa.
Elisa Raso attualmente residente in California, uno degli americani più colpiti, dopo quello di New York. «Sto vivendo l’esperienza del GAP YEAR, il cosiddetto anno sabbatico all’estero, presso l’EF International School di San Francisco dal mese di settembre. Oltre ad avere l’opportunità di conoscere persone da ogni parte del mondo questo programma, essendo di preparazione universitaria, è incentrato sull’apprendimento della lingua inglese e di contenuti accademici. Non avrei mai immaginato, prima di partire, di ritrovarmi in questa situazione».
Elisa, come stanno affrontando oltre Oceano la minaccia biologica?
«La situazione è degenerata in fretta. Le contromisure sono state adottate tardivamente a parer mio, anche a fronte delle notizie provenienti da Cina e Italia. In California si è cominciato a parlare del Covid-19 nel momento in cui la nave da crociera Grand Princess è approdata a Oakland a inizio marzo. Nave che trasportava almeno ventuno passeggeri risultati positivi alla malattia. A seguito di ciò sono state attuate misure di screening rafforzate e procedure di prevenzione e controllo che nell’arco di una settimana sono giunte al lockdown della Bay Area».
Ora la situazione a San Francisco è simile a quella italiana.
«Le sole attività aperte sono supermercati, farmacie, dispenser per la cannabis, stazioni di servizio e lavanderie, mentre i ristoranti, i bar e i negozi sono obbligatoriamente chiusi e operano solo con il servizio di delivery. I cittadini hanno ancora il permesso di uscire per intraprendere attività all’aria aperta, come ad esempio il jogging, ma sempre con l’obbligo di mantenere una distanza minima di due metri».
Il problema principale rimane l’alto costo dell’assistenza sanitaria americana.
«La loro sanità ha sottovalutato la situazione, sono in realtà molto impreparati e anche qui manca il materiale di protezione minimo come mascherine e guanti. L’assenza di un’assistenza sanitaria garantita dallo Stato è l’altro grande ostacolo nel Paese. Una settimana fa il Congresso ha infatti varato una legge che permette di sottoporsi al test e a visite di controllo senza spese. Ormai, però, molte persone non hanno fatto altro che evitare di sottoporsi a tali test per timore di dover pagare ugualmente e rischiando quindi di avere il virus e diffonderlo più velocemente».
Elisa al momento si trova di fronte a una scelta complessa. «Se all’inizio la preoccupazione era soprattutto rivolta all’Italia e alle persone che si trovano in quella che, ovunque io sia, rimarrà sempre la mia casa, adesso che sono gli Stati Uniti d’America ad avere il numero più elevato di casi ammetto di essere preoccupata anche per me stessa. Molti studenti che ho conosciuto durante questa mia esperienza sono rientrati a casa per non correre il rischio di rimanere bloccati in America, nel caso in cui la situazione dovesse peggiorare e molti altri stanno valutando un possibile rientro a breve. Personalmente sono molto confusa riguardo a cosa sia meglio fare in questo momento. D’altronde il rimpatrio in Italia non è la soluzione migliore attualmente: gli unici voli disponibili sono da New York a Roma, il che significherebbe partire dalla città americana con più casi registrati e nella quale sembrerebbe esserci mancanza di controlli (ovvero potrebbero imbarcarmi già da infetta o con persone infette) per poi arrivare a Roma, dove dovrei provvedere a trovarmi un alloggio in cui stare per due settimane in totale isolamento. Il rischio di esporsi al contagio è altissimo».
Temporeggiare potrebbe essere una scelta errata. «Correrei il rischio che con l’aggravarsi della situazione diventi ancora più complesso uscire dagli USA oppure, mi auguro di no, potrei correre il rischio di prendere il virus e non essere tutelata a livello sanitario come un cittadino americano. Nonostante tutto, i pensieri corrono sempre ai miei familiari. In questo momento ammetto quanto sia difficile trovarmi lontana da casa. Sin dai primi casi in Italia, c’è stata molta preoccupazione per la situazione e per tutti i miei cari che si trovavano a viverla. Quando si è lontani da casa inoltre è più facile cadere nella trappola della disinformazione e dell’allarmismo, immaginando il contesto peggio di quel che è in realtà o comunque in maniera differente. Ho sempre cercato di mantenere un contatto attivo con l’Italia in modo da poter vivere la situazione il più serenamente possibile».
(laurent bionaz)