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  • Processo Geenna: 10 mila euro per riparare alla lite tra giovani, ma spunta una pistola
    CRONACA
    di Federico Donato  
    il 10/06/2020

    Processo Geenna: 10 mila euro per riparare alla lite tra giovani, ma spunta una pistola

    Nella terza udienza sono stati ascoltati alcuni testimoni che hanno riferito in merito ad alcuni episodi contenuti nelle carte dell'inchiesta (ma che non sono oggetto di contestazione)

    Processo Geenna: Dopo le testimonianze rese in aula dai Carabinieri del Nucleo investigativo e del Ros, ora tocca ai protagonisti di alcuni dei fatti contenuti nelle carte dell’inchiesta Geenna.

    Ma prima dell’audizione di alcuni testimoni, la terza udienza si è aperta oggi, mercoledì 10 giugno, con un “scontro” tra difese e Procura sulla trascrizione delle intercettazioni carpite dagli investigatori.

    Il primo a prendere la parola in aula è stato l’avvocato Claudio Soro (difensore di Alessandro Giachino e Monica Carcea insieme alla collega Francesca Peyron). Il legale ha espresso una «formale opposizione a qualunque tipo di utilizzo delle intercettazioni diverso dalle trascrizioni» di cui si sta occupando il perito nominato dal Tribunale.

    Le intercettazioni relative all’inchiesta Geenna, infatti, sono attualmente al vaglio di un perito, il quale dovrà trascrivere tutte le intercettazioni telefoniche e (integralmente) i lunghi ambientali registrati dai militari nel corso delle indagini.

    L’avvocato Claudio Soro

    Secondo Soro «questo processo si basa prevalentemente su intercettazioni ambientali e telefoniche», ma per poter procedere con il dibattimento sarebbe necessario avere le trascrizioni effettuate da un tecnico, e non solamente le registrazioni audio e le trascrizioni fatte dagli investigatori. Per l’avvocato, infatti, grazie alla trascrizione integrale soprattutto dei lunghi ambientali e grazie all’utilizzo di tecnologie per rimuovere il fruscio, potrebbe anche cambiare il significato delle conversazioni.

    Ha precisato Soro: «Paghiamo migliaia di euro per fare un processo in cui solo alla fine capiremo cosa contengono le intercettazioni». L’avvocato ha poi citato una sentenza della Cassazione che sosterrebbe la sua tesi.

    Tutte le difese hanno aderito all’iniziativa dell’avvocato Soro: Corrado Bellora e Donatella Rapetti (per Marco Sorbara), Ascanio Donadio e Pasquale Siciliano (per Antonio Raso) e Nilo Rebecchi e Barbara Cocco (per Nicola Prettico).

    Il pm Stefano Castellani ha replicato dicendosi «sorpreso dall’eccezione che a mio avviso è infondata. Alla scorsa udienza mi pareva che l’accordo fosse nel senso di usare la fonia (cioè ascoltare alcune intercettazioni telefoniche in aula ndr). Dico solo che si poteva avvisare prima dell’udienza».

    Il pm Stefano Castellani

    Anche il magistrato ha poi citato una sentenza della Cassazione in grado di sostenere la sua tesi.

    Il presidente del Tribunale Eugenio Gramola ha risposto che le trascrizioni del perito saranno disponibili entro inizio luglio, «io spererei di averle anche prima». La proposta di Gramola è stata quindi quella di eventualmente richiamare i testimoni già escussi, qualora dalle trascrizioni “ufficiali” emergessero differenza rilevanti con quanto contenuto nei brogliacci.

    Prima che il Collegiale si ritirasse per valutare come procedere, il pm ha poi chiesto di produrre alcune prove documentali, come il decreto di fermo di un collaboratore di giustizia, la richiesta di archiviazione e il relativo decreto dell’indagine Lenzuolo, le sentenza di Gerbera e l’ordinanza del gip di Reggio Calabria relativa all’operazione Altanum. Tutte queste produzioni sono state ammesse dal Tribunale.

    Dopo essersi chiusi in Camera di consiglio per circa mezz’ora, i giudici hanno deciso di respingere l’eccezione presentata dai difensori.

    I lavori Sitrasb

    Sono quindi stati ascolti il aula alcuni dei testimoni chiamati dall’accusa. In apertura, sono stati ascoltati alcuni teste che hanno riferito in relazione a una vicenda che, secondo la DDA, dimostrerebbe come Antonio Raso e Marco Fabrizio Di Donato fossero in grado di procurare lavori a ditte soggetti a loro contigui e vicini, «consolidando così la considerazione di cui l’associazione mafiosa gode sul territorio – si legge nell’ordinanza di gennaio che ha fatto scattare il blitz Geenna – in virtù del controllo sulle attività economiche che in effetti è in grado di esercitare».

    In particolare, il riferimento era ai lavori che – secondo l’accusa – i due imputati sarebbero riusciti a far ottenere a un presunto loro amico presso gli uffici della Sitrasb al Traforo del Gran San Bernardo. Rispondendo alle domande del pm, una dipendente della Sitrasb ha riferito di una chiamata ricevuta da Raso «che chiedeva di fissare un appuntamento con il presidente per» l’imprenditore che la DDA sospetta essere vicino a Raso.

    Il direttore dei lavori Sitrasb oggetto del dibattito ha confermato che la ditta era effettivamente entrata nell’appalto in subappalto, ma la ditta «non mi è stata imposta o consigliata da Sitrasb o da qualcun’altro».

    «E’ un bravo ragazzo, fallo entrare in discoteca»

    Altro episodio affrontato in aula riguarda l’intervento di Raso affinché un giovane – che era stato allontanato per rissa – potesse nuovamente rientrare in discoteca. Chiamato come teste dal pm, il titolare di una discoteca valdostana ha ricostruito la vicenda.

    «Come regola generale – ha spiegato -, quando qualcuno fa casino, non lo faccio entrare a meno che non chiede scusa». Riguardo alla vicenda cui faceva riferimento l’accusa, ha poi aggiunto: «Era una sera del 2015 e non facevo entrare una persona perché aveva fatto casino». Alcuni degli amici del soggetto, quindi, erano entrati nel locale per chiedere al titolare di concedere l’accesso all’amico. Alla quarta risposta negativa, però, uno dei giovani avrebbe minacciato il titolare e un buttafuori. «Mi ha detto qualcosa tipo “ti spacco la faccia”. Io l’ho fatto accompagnare fuori e per me la storia era finita».

    Tuttavia, qualche tempo dopo, Raso telefona al titolare della discoteca per chiedere «in modo non minaccioso» (lo ha ribadito più volte il teste) cos’aveva fatto il giovane – quello che aveva minacciato il titolare del locale – e se era possibile farlo nuovamente entrare nella discoteca. «Mi chiamò per chiedermi, visto che sapeva che si trattava di brave persone che lui conosceva, perché non le facevo entrare. In modo non minaccioso mi ha chiesto di farli entrare – ha detto il teste -. Io ho detto che, come sempre, visto che non aveva fatto nulla di grave, il giovane poteva rientrare ma doveva chiedermi scusa».

    Ed effettivamente, qualche giorno dopo, il giovane che aveva minacciato il titolare della discoteca si reca al locale e chiede scusa.

    Terminato l’esame del pm, ha preso la parola l’avvocato Giulio Calosso (parte civile per il comune di Saint-Pierre), il quale ha chiesto al testimone per quale motivo «ha ritenuto di precisare due volte che non vi erano state minacce?». Il teste ha risposto che «conoscendo Raso sono rimasto stupito di quello che è successo con gli arresti. Ci sono rimasto male. Ho specificato perché questa storia per me era una cavolata».

    Da una lite tra giovani a una pistola

    Sono stati poi sentiti alcuni testimoni in relazione a un litigio tra giovani che si era poi allargata “per risolvere le cose” alle famiglie di Antonio Raso e Salvatore Filice.

    Il figlio di Filice, infatti, aveva litigato con il nipote di Raso arrivando anche alle mani davanti a una discoteca. I due, secondo quanto spiegato in aula dal nipote di Raso, avevano litigato per una ragazza.

    Filice avrebbe ottenuto un incontro con il giovane e lo zio di quest’ultimo. In quella sede, Filice avrebbe chiesto 10 mila euro come “risarcimento” per il figlio.

    E sempre in quell’occasione, la discussione si sarebbe accesa e, a un certo punto, Filice avrebbe estratto una pistola arrivando anche a minacciare il giovane.

    Per risolvere la questione, lo zio del nipote di Raso si sarebbe rivolto al ristoratore aostano, il quale avrebbe quindi anche organizzato un incontro con Filice a cui era presente anche Marco Fabrizio Di Donato.

    Rispondendo alle domande in aula, lo zio del nipote di Raso ha riferito di non sapere come è finita la vicenda, ma «ero tranquillo perché sapevo che c’era Tonino (Raso ndr). Pensavo che avrebbe risolto il problema perché conosce tante persone, quindi se si conoscono tante persone si può parlare civilmente e risolvere le cose».

    (f.d.)

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