Geenna, Monica Carcea: «Mai chiesto interventi a Di Donato e Raso a Saint-Pierre»
L'ex assessora comunale - accusata di concorso esterno - ha riferito in aula: «Questo arresto per me è stato devastante e improvviso. Mi ha creato un trauma che mi porterò dentro per tutta la vita»
«Antonio Raso (ristoratore accusato di associazione mafiosa ndr), è brutto dirlo, mi è servito per avere dei contatti con qualche politico. Io ero alla mia prima esperienza in amministrazione. Marco Fabrizio Di Donato (presunto vertice del Locale di ‘ndrangheta e condannato a Torino in abbreviato ndr) era presente qualche volta quando parlavo con sua moglie. Io non ho mai chiesto l’intervento di nessuno e non avrei mai pensato che a Raso e Di Donato potesse venir contestato un reato del genere». Lo ha riferito in aula l’ex assessore di Saint-Pierre Monica Carcea, imputata nel processo Geenna per concorso esterno in associazione mafiosa.
Poco prima il presidente Eugenio Gramola aveva chiesto chiarimenti sul fatto che Carcea, nonostante il suo background culturale (laureata in economia, amministratrice comunale e aspirante commercialista), si rivolgesse a persone come Raso e Di Donato per poter incontrare alcuni politici valdostani, come l’ex assessore regionale Ego Perron.
I rapporti con Raso e Di Donato
Secondo la Distrettuale antimafia di Torino, Carcea «si rivolgeva a Marco Fabrizio Di Donato e Antonio Raso chiedendo loro di intervenire con metodo intimidatorio per comporre le tensioni e i contrasti che aveva con altri assessori della Giunta del Comune di Saint-Pierre e, in particolare, con Alessandro Fontanelle», si legge nell’ordinanza del gip di Torino del gennaio 2019.
Difesa dagli avvocati Claudio Soro e Francesca Peyron, l’imputata ha spiegato che «con Fontanelle scontri ce ne sono stati, ma sempre di natura professionale. Avevamo opinioni e visioni diverse. Mi stupisce che Raso e Di Donato ne parlavano tra loro. E’ possibile che una sera al ristorante ne parlai con Raso, ma senza il fine di poter riprendere (Fontanelle ndr). Io con Di Donato non ho mai parlato di problematiche con Fontanelle, forse ho raccontato qualcosa alla moglie perché eravamo amiche. Ma io non mi sono mai rivolta a lui».
Dopo che Carcea ha ripetuto più volte la sua versione dei fatti, il presidente del Collegio giudicante Gramola ha riassunto: «Da quello che dice sembra che Di Donato abbia deciso autonomamente di attivarsi». Carcea: «Io non ho mai fatto richieste di questo tipo a nessuno. Io a casa di Di Donato ci andavo, può essere che abbia sentito i miei discorsi con sua moglie. Posso pensare che lui abbia ragionato in quanto io ero amica della moglie. Ma io non ne sapevo nulla».
A seguito di alcune contestazioni del pubblico ministero Valerio Longi su discrepanze tra le odierne dichiarazioni dell’imputata e quelle rese durante le indagini, l’ex assessora comunale ha aggiunto: «Questo arresto per me è stato devastante e improvviso. Mi ha creato un trauma che mi porterò dentro per tutta la vita. Mi avete interrogato dieci giorni dopo l’arresto, non mangiavo e non bevevo. Mi mancavano mio marito e i miei figli. Può essere che non sono stata precisa».
Riguardo al presunto sostegno elettorale ricevuto da Marco Fabrizio Di Donato e Raso in occasione delle comunali del 2015, l’imputata ha chiarito: «Marco Di Donato e Raso non si sono occupati della mia campagna elettorale. Io penso di aver avuto voti dall’ambito scolastico perché da anni ero molto attiva».
Nella foto in alto, Monica Carcea entra in Tribunale insieme all’avvocato Peyron.
(f.d.)