#siamoaterra: il grido d’allarme dei ristoratori valdostani
Una sessantina di operatori del settore della ristorazione hanno manifestato, sotto l'egida di Fipe-Confcommercio, in piazza Chanoux, come in altre 23 piazze italiane
«Siamo un settore a terra, ma vogliamo tornare a correre». Una sessantina di operatori seduti, composti, ma arrabbiati, con intorno tovaglie, posate e bicchieri in una piazza Chanoux in silenzio, ma vicina al grido d’allarme, lanciato anche sulle note del “Silenzio” e dell’Inno di Mameli. Si è concretizzata così, ad Aosta, #siamoaterra, la manifestazione indetta da Fipe-Confcommercio, andata in scena in 24 piazze italiane per denunciare la situazione di ristorante, bar e altre attività di somministrazione, alla luce del nuovo Dpcm che ha imposto la “chiusura” per la consumazione al tavolo alle 18.
Il presidente di Confcommercio VdA
«Siamo qui come in altre ventitre piazze italiane, numerosi, coraggiosi, pacifici, ma determinati – sottolinea il presidente Graziano Dominidiato -. Siamo quelli che ogni giorno si rimboccano le maniche, ma di fronte a questa tragedia non basta».
Graziano Dominidiato
Parole forti, che denunciano la situazione di un settore che «perderà almeno 27 miliardi di euro su 96 di fatturato» che rischia di veder cancellati «300 mila posti di lavoro».
Poi, la chiusura alle 18, come se non bastasse, «costerà 2.1 miliardi di euro».
Insomma, la crisi sanitaria ed economica «costerà cara a noi, ma anche a tutto il paese» continua Dominidiato, che ricorda come prima «davamo da mangiare a 11 milioni di persone», perché loro sono «il luogo del primo caffè e del primo sorriso», ma anche quello dove «la memoria fissa i ricordi più belli e intimi».
Situazione ingestibile
Graziano Dominidiato ricorda come questi locali siano «la parte terminale della lunga filiera del cibo», la parte «fondante dell’identità italiana» e il «primo motivo per cui i turisti tornano da noi».
Nonostante questo, però, «siamo a terra – attacca ancora -. Comprendiamo la tragica emergenza sanitaria, ma subiamo però da mesi la tragica definizione di attività non essenziale. Eppure tutte le attività sono essenziali quando producono reddito, occupazione e servizi».
Attività sicura
Il presidente non molla e, anzi, rincara. «Tutte le attività sono sicure – dice -, applicano i protocolli sanitari assegnati, accollandosi costi importanti e responsabilità spinose», eppure «siamo a terra moralmente», perché dopo otto mesi dal lockdown «non siamo considerati alleati dell’ordine pubblico, non vediamo riconosciuto il nostro valore sociale» e anzi «siamo capro espiatorio per controlli che mancano e organizzazione che fa difetto».
Dominidiato urla che «non siamo il problema, noi possiamo e vogliamo essere parte della soluzione».
Ricordato «chi ha chiuso, chi ha perso la vita o se l’è tolta», Dominidiato evidenzia «il senso di solidarietà del settore» e la volontà di far sentire «la voce anche del piccolo bar di provincia».
Aiuti
E rincara ancora. «Il Governo ha preso provvedimenti per garantire ristori – continua -, ma questo dovrà essere fatto anche dall’amministrazione regionale» e non chissà tra quanto, «ma subito, dopo mesi di burocrazia», perché gli indennizzi «sono un atto dovuto», non una «compensazione, perché nessuno può compensare la negazione del diritto al lavoro».
«Chiediamo giustizia – chiosa -, per un settore a terra, ma che vuole tornare a correre con le sue gambe, per il futuro di famiglie, città e del Paese».
I manifestanti
Una sessantina, come detto, gli operatori seduto sul selciato di piazza Chanoux. E tutti, non solo metaforicamente, sono a terra.
Alcuni partecipanti della manifestazione #siamoaterra
«Siamo qui in silenzio, ma per far sentire la nostra voce – esclama Maurizio del Ristorante Mama -. Vogliamo far sentire il disagio di una categoria ritenuta dal governo non essenziale, nonostante ci siano famiglie che lavorano e devono mantenersi; siamo considerati quasi superflui».
Maurizio è un fiume in piena. «Siamo parte del tessuto economico di un’Italia che deve andare avanti – conclude -. Bisogna trovare delle soluzioni senza sacrificare milioni di persone. Abbiamo fatto tutto quanto ci è stato chiesto, dal distanziamento alla sanificazione e nonostante tutto ci penalizzano di nuovo».
Sulla stessa lunghezza d’onda Beatrice e Mauro della Trattoria di Campagna di Sarre.
«Stiamo pensando di chiudere – esclamano -. Abbiamo tenuto aperto martedì a pranzo, ma a fronte di due tavoli da due persone i costi sono insostenibili. Asporto e delivery, poi, funzionano meno, perché la gente, comunque, di giorno è in giro. A sto punto meglio usufruire della cassa integrazione».
Propongono una soluzione. «Chiudiamo i bar alla sera e lasciamo aperti i ristoranti, così ci possiamo alternare – continuano -. Non ci sentiamo le gambe tagliate, visto che uno scontrino medio di giorno è di 20 euro, la sera magari di 40. Aiuti? Sempre meglio che niente, ma servono solo a tacconare».
Sulla stessa lunghezza d’onda Carmine del PuBurger di Aosta. «Abbiamo già dovuto chiudere il locale di via Festaz e ho dovuto lasciare a casa cinque dipendenti, con chiusura alle 18 perdiamo un servizio – dice -. A pranzo si fa poco, per questo chiediamo di lavorare. Abbiamo messo tutto in sicurezza, io ho speso oltre 1.300 euro solo per un locale e ora siamo di nuovo a terra».
Non le manda a dire Edy di Gelato Pazzo.
«La situazione è tragica – ammette -. Il nostro unico vantaggio è che avremmo comunque dovuto chiudere a fine ottobre, anche se quest’anno pensavamo di compensare allungando la stagione».
Invece, rimanendo così le cose, non sarà possibile. «Invece lasciamo a casa cinque dipendenti, quando avremmo potuto tenerne almeno tre – attacca ancora -. Ricordo solo che il primo giorno di “simil-lockdown” abbiamo battuto 106 euro in tutto il giorno e poi ci danno degli evasori. Purtroppo la gente si è fasciata talmente la testa, è talmente intimorita che alle 17 vanno tutti a casa».
(alessandro bianchet)