La nuova (doppia) irritazione di Meloni con il “piccolo Napoleone” Macron
Roma, 10 mag. (askanews) – A Palazzo Chigi lo chiamano spregiativamente, ormai da tempo, “Piccolo Napoleone” o “Novello Napoleone”. Del resto non passa settimana senza che Giorgia Meloni abbia qualche motivo di irritazione contro Emmanuel Macron. E questa settimana le irritazioni sono state ben due.
La prima causata dall’evento convocato lunedì 5 a Parigi – presenti lo stesso presidente francese e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen – per attrarre ricercatori. Una Conferenza pensata per fare concorrenza agli Usa ma che a piazza Colonna – dove si affaccia il palazzo della Presidenza del Consiglio – è stato letto come l’ennesima fuga in avanti dell’Eliseo per guadagnare terreno a scapito dei partner. E’ quindi partito l’ordine alla ministra dell’Università Anna Maria Bernini: disertiamo. O quasi. Alla Conferenza ha preso parte, in rappresentanza di Roma, l’Ambasciatrice a Parigi, Emanuela D’Alessandro, incaricata di portare la posizione dell’Italia, “che considera la libertà della ricerca un principio irrinunciabile e fondamento imprescindibile di ogni avanzamento scientifico e culturale”. Intanto dal Ministero veniva fatto partire un off in cui si esprimeva “l’irritazione” della Bernini per un evento – veniva sottolineato – che nella prima versione aveva come titolo “Choose Europe, choose France”, solo successivamente modificato. Un off, accompagnato anche da un piccato commento in chiaro della ministra: “Gli altri annunciano, l’Italia ha già fatto, come il bando da 50 milioni destinato a ricercatori di università o enti di ricerca esteri e interessati a tornare, o a trasferirsi, nel nostro Paese aperto lo scorso 15 aprile”. E comunque, veniva fatto notare, “l’Italia considera il Consiglio Competitività e Ricerca, in programma il 23 maggio a Bruxelles, l’occasione ideale e il formato istituzionale più appropriato per un confronto efficace tra Stati membri e per definire insieme, e non solo in ottica prevalentemente nazionale, politiche comuni concrete, sostenibili e lungimiranti”.
Secondo motivo di irritazione la salda alleanza tra Macron e Friedrich Merz. Il nuovo cancelliere tedesco non è sicuramente sgradito alla premier, per la vicinanza su temi come i migranti e la revisione del Green Deal. Nel suo messaggio di congratulazioni per l’elezione – martedì 6 – lei ha tra l’altro sottolineato la convinzione che Italia e Germania, “le due più importanti economie manifatturiere d’Europa, possano fare la differenza per il rilancio della competitività, in particolare del settore automobilistico, così come per la costruzione di partenariati paritari con l’Africa e per il contrasto all’immigrazione irregolare”. Ma se, come pare, il piano era scardinare, o almeno indebolire, il tradizionale asse franco-tedesco (magari sfruttando la comune appartenenza Ppe di Merz e Antonio Tajani) sostituendolo con una gestione più collegiale, al momento sembra fallito. Macron, nel giorno dell’elezione ‘thrilling’ di Merz, lo ha chiamato nella pausa tra una votazione e l’altra per sostenerlo e il giorno dopo la prima visita del tedesco è stata all’Eliseo (e poi in Polonia da Donald Tusk). I due, nella capitale francese, hanno annunciato – tra le altre cose – l’istituzione di un “consiglio di difesa e di sicurezza” comune e nello stesso giorno hanno firmato un intervento congiunto in cui si delinea un nuovo percorso europeo guidato dalla ‘locomotiva’ franco-tedesca. “Vogliamo una partnership più strategica, più operativa, in grado di conseguire risultati concreti per i nostri cittadini e per l’Unione. Daremo pieno slancio al consueto asse franco-tedesco e al coordinamento bilaterale a favore di un’Europa più sovrana, focalizzandoci sulla sicurezza, sulla competitività e sulla convergenza”, hanno scritto.
Un dito nell’occhio per Meloni, che guarda con maggiore speranza alla Romania, contando nella vittoria, al ballottaggio, del compagno di famiglia Ecr George Simion. Sarebbe il quarto leader conservatore al Consiglio europeo. Ma con il rischio, per Meloni, di fare da “foglia di fico” per coprire movimenti euroscettici o filorussi, come ha notato su ‘La Stampa’ Flavia Perina, non certo una di sinistra.
Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli