“La colpa è di chi muore”, libro di Bellinazzo sul mercato nero calcio
Roma, 18 set. (askanews) – Si intitola “La colpa è di chi muore”, il libro di Marco Bellinazzo, scrittore e giornalista (dal 2004 lavora per Il Sole 24 ORE). Il volume (Fandango Libri, 420 pp, 19 euro) racconta una morte misteriosa, il mercato nero del calcio, in una indagine che nessuno vuole.
Bellinazzo, esperto di economia, finanza e geopolitica, si occupa in particolare degli affari che ruotano attorno al mondo del calcio e dello sport e nel libro affronta un tema delicato quanto attuale: quello dello sfruttamento dei giocatori africani.
Quando Dante Millesi, tra i fondatori del sito Calcio & Dintorni, si imbatte nella notizia del ritrovamento di un cadavere nel lago di Lugano, non gli ci vuole molto a convincersi che si tratta di una di quelle storie che un giornalista, intransigente e disperato come lui, ha il bisogno, prima ancora che il dovere, di raccontare. Per Millesi, nato nel Rione Sanità e che da ragazzino aveva assaporato il sogno di giocare nel Napoli al fianco di Maradona, in quella storia riecheggia infatti l’eco di un dolore che pensava sepolto nel passato, di una colpa che non può essere redenta.
E così in un cerchio di coincidenze tutt’altro che fortuite – un cerchio che pagina dopo pagina prende sempre più la forma di un cappio – Millesi si lancia in un’indagine nell’indagine, arrivando quasi a sfidare gli inquirenti che sembrano inchiodati, loro per primi, a reticenze, censure, pavidità ed egoismi. Proprio quegli egoismi, del resto, consumano dal di dentro i sentimenti di amicizia e d’amore, che il quarantenne Millesi nutre per Tiziana, la giovane collega da cui si sente attratto, per Claudio Romano, l’agente di calciatori che lo indirizza sulla pista del traffico di giovanissimi calciatori africani, e padre di quest’ultima, o ancora per Cristina Ghiglione, il pubblico ministero titolare del caso, con cui aveva vissuto anni addietro un’intensa relazione sfiorita sul più bello, lasciando in entrambi tanti punti di domanda.
Millesi, che nel frattempo per un debito di riconoscenza si ritrova a tentare di salvare una squadra dell’Eccellenza lombarda dalla retrocessione, poco alla volta porta alla luce le connessioni, le opere di corruzione e i tradimenti che troppo spesso condannano il talento – come quello dei ragazzini nigeriani che scoprirà vittime di quel crudele ingranaggio -, a soccombere per l’avidità di criminali senza scrupoli, assassini di uomini e divoratori di sogni. E si ribellerà a suo modo all’ineluttabilità degli eventi, fino a sacrificare se stesso.
“Da giornalista – racconta l’autore Bellinazzo – mi occupo da anni di economia del calcio. Mi avevano sempre colpito le storie, in cui ogni tanto si imbatte la cronaca sportiva, di giocatori africani, anche di buon livello, di cui si scopre a un certo punto che hanno un’età più alta di quella dichiarata o una diversa nazionalità o addirittura un’identità totalmente fasulla. La curiosità mi ha spinto a studiare e ad approfondire queste vicende. Immaginavo che dietro questi casi apparentemente isolati ci fosse qualcosa di più complesso, di organizzato, che rispondeva a precisi interessi finanziari. Ma quello che ho scoperto è molto peggio di quanto credessi, un fenomeno, la tratta dei giovani calciatori africani, infernale, subdolo, emblematico delle peggiori distorsioni della società contemporanea. E ho sentito, perciò, il bisogno di raccontarlo dal di dentro e di farlo conoscere al maggior numero di persone possibile. Finora ho scritto saggi. Ma un saggio per questa vicenda non era abbastanza. I numeri e le statistiche non dicono sempre tutto e poi mi sono reso conto che non era possibile unire tutti i tasselli con prove e documenti certi, inconfutabili. Perciò, mi sono rifugiato nella narrativa, nella verosimiglianza, che non ha queste barriere. La narrativa non ti spiega la verità, a differenza del saggio, te la mostra. La narrativa consente di unire i puntini che il giornalismo e la saggistica non sono possono unire. E poi ho sentito che solo ‘personalizzando’ il racconto, legandolo ad una storia, sarei stato in grado di far emergere tutta la tragicità di questi traffici, evitando forme di pietismo o di scandalismo”, conclude l’autore.