Processo per usura: assolti i quattro imputati
Antonino Verduccio, Loris De Antoni, Ezio Capello e Remo Voyat erano accusati di aver creato un giro di prestiti, con tassi vicini al 300% nei confronti di un ex doganiere aostano
Assolti perché il fatto non sussiste. Questa la sentenza proclamata nel primo pomeriggio di mercoledì nell’udienza collegiale, che ha assolto dalla condanna di usura, nei confronti di un ex doganiere aostano, gli imputati Antonino Verduccio, Loris De Antoni, Ezio Capello e Remo Voyat.
La sentenza
La sentenza dei giudici Massimo Scuffi, Anna Bonfilio e Marco Tornatore, cancella di fatto le richieste fatte dal pm Luca Ceccanti, che per gli imputati aveva chiesto pene complessive per circa 20 anni: 6 anni e 8 mesi di reclusione con 15 mila euro di multa per Verduccio (66 anni, originario di Taurianova), 5 anni e 4 mesi e 12 mila euro per De Antoni (58 anni di Aosta), 4 anni e 6 mesi e 9 mila euro per Capello (64 anni di Aosta) e 3 anni e 8 mila euro per Voyat (53 anni di Fénis, ex finanziere e attualmente valletto della casa da gioco di Saint-Vincent).
I fatti
L’inchiesta era partita proprio dalla denuncia dell’ex doganiere, ascoltato in aula nella prima udienza, il quale aveva raccontato di trovarsi «in difficoltà dalla fine del 2013», quando terminò il «contributo per la badante dei miei» e decise di «chiedere a Capello (considerato l’intermediario secondo il pm Ceccanti) se conosceva qualcuno che potesse farmi un prestito». L’indagine della guardia di finanza sembrava aver ricostruito un meccanismo, per cui gli interessi arrivarono a sfiorare il 294%. L’ex doganiere, che secondo Ceccanti «magari aveva anche problemi dovuti al gioco», sarebbe entrato in un meccanismo di usura per cui «io ti do l’assegno a garanzia, ma gli interessi te li pago in contanti, per non lasciare tracce». Secondo l’ex doganiere, tutto iniziò da «Capello» che disse di aver trovato una persona «Verduccio, che poteva darmi 2.000 euro, ma che i tassi erano pesanti». Da qui, sempre secondo l’accusa, cominciò il giro, con la presunta vittima a dare un assegno di «2.600 euro e all’inizio di ogni mese» la consegna di altri «600» in contanti, con l’aggiunta di «50 euro in più» per ogni giorno di ritardo, per un totale di «circa 11 mila euro». A questo si aggiunse il presunto rapporto con il De Antoni, cui l’ex doganiere avrebbe versato un assegno di «2.000 euro, per 1.700 in contanti». Secondo lui, inoltre, Capello gli avrebbe indicato un ultimo personaggio (Remo Voyat): «saremo andati sotto casa sua, a Fenis, 7-8 volte – disse ancora la presunta vittima –. Lo scambio era un assegno da 1.500-1.600 euro, postdatato, per 1.200 euro in contanti». Il maresciallo delle Fiamme gialle che seguì il caso, in aula parlò, però, di «indagini tecniche e accertamenti bancari» da cui non sarebbe emerso «nulla» e di una perquisizione domiciliare dal Voyat in cui lo stesso avrebbe consegnato «appunti e assegni catalogabili come prestiti personali».
Le difese
Le difese non si sono fatte scappare gli appigli, a cominciare dall’avvocato Francesco Pesce, difensore di Remo Voyat, che già nella prima udienza aveva parlato di «indagini che si basano solo sulle dichiarazioni del querelante (costituito parte civile con la richiesta risarcitoria di 50 mila euro ndr.)» che, peraltro, risulterebbero «prive di riscontri. Il mio assistito si è fidato di un amico».
Aveva chiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» l’avvocato Michela Malerba di Torino, chiamata in difesa di Antonino Verduccio. Secondo Malerba, infatti, «la perquisizione del marzo 2016» non porta al ritrovamento di nulla che possa «ricondurre alla vicenda», mentre le dichiarazioni dell’ex doganiere risulterebbero «contrastanti» con quanto detto da un funzionario di banca durante l’interrogatorio, secondo cui il querelante «chiese un finanziamento a fine 2014, mentre l’usura sarebbe iniziata a luglio 2014, con difficoltà finanziarie palesate nel 2015». «Siamo sicuri – ha continua Malerba – che questo signore sia in grado di ricostruire tutto in modo credibile? Riscontriamo una grave inconciliabilità tra le versioni offerte» a cui si aggiunge, quanto emerso da alcune telefonate, nelle quali il querelante prenderebbe in giro «Verduccio; strano per una persona usurata».
Ha rincarato la dose l’avvocato Claudio Maione, difensore di De Antoni, che rileva come non ci sia «prova del prestito» e come la dichiarazione dell’ex doganiere sia «l’unica prova». La posizione del suo assistito, secondo l’avvocato, «si potrebbe risolvere con la clamorosa inattendibilità del teste» e dalle perquisizioni e intercettazioni della Finanza «negative, come gli accertamenti bancari». Inoltre, l’ex doganiere nell’interrogatorio si sarebbe sempre «adattato alle domande del PM», dando invece «risposte oscure» in sede di controesame.
L’avvocato Oliviero Guichardaz, difensore di Cappello, evidenzia ancora «l’inattendibilità del teste», che rimane «sempre generico, senza fornire date, luoghi e cifre», e che avrebbe dichiarato di restituire gli interessi «900 euro a Verduccio, 500 a De Antoni e 300 a Voyat, ma allo stesso tempo racimolava a volte il capitale completo di 2.000 euro, estinguendo il debito col De Antoni e il Voyat, ma mai con il Verduccio, col quale aveva interessi mostruosi». Secondo Guichardaz, insomma, «Capello ha aiutato» il querelante «esponendosi in prima persona, con persone con cui ha un forte legame; gli unici riscontri sono piccoli passaggi di denaro in una cerchia ristretta di amici, senza interessi. L’apporto di Capello è fatto per amicizia».
(alessandro bianchet)