Sentenza Geenna, per i giudici la ‘ndrangheta ha «ripetutamente condizionato le elezioni»
Depositate le motivazioni della pronuncia del Tribunale di Aosta con cui sono stati condannati Marco Sorbara, Monica Carcea, Antonio Raso, Nicola Prettico e Alessandro Giachino
Sentenza Geenna, per i giudici la ‘ndrangheta ha «ripetutamente condizionato le elezioni».
I componenti del Locale di ‘ndrangheta finito al centro del processo Geenna «si dedicavano alla tessitura di una rete di relazioni con esponenti del mondo politico e amministrativo locale, allo scopo evidente di ottenere vantaggi e profitti partecipando alla spartizione dei lavori pubblici e proponendo soggetto loro contigui per l’assegnazione dei medesimo lavori».
Fatto già evidenziato nelle carte della Direzione distrettuale antimafia che ha coordinato l’inchiesta. Ma questa volta le parole sono state scritte nero su bianco dai giudici del Tribunale di Aosta Eugenio Gramola, Marco Tornatore e Maurizio D’Abrusco nelle motivazioni della sentenza che aveva portato alla condanna dei cinque imputati che avevano deciso di andare a dibattimento. Si tratta di Marco Sorbara, Monica Carcea, Antonio Raso, Nicola Prettico e Alessandro Giachino; i primi due erano accusati di concorso esterno, mentre gli altri tre di associazione mafiosa.
Le infiltrazioni
Nelle 548 pagine delle motivazioni, i giudici aostani dedicano un capitolo al «Programma delittuoso dell’associazione. Le infiltrazioni nella politica regionale». Si legge: «Il Locale di Aosta non si avvale della propria capacità intimidatrice (necessariamente) per commettere delitti, ma tende a insinuare la propria presenza all’interno della ristretta comunità valdostana e in particolare in quella fascia di popolazione di origine calabrese residente nel capoluogo regionale e nelle località vicine». Ma a che scopo? Secondo il Collegiale per «acquisire vantaggi ingiusti per sé o per altri o per orientare le scelte elettorali della comunità di origine calabrese residente in Valle d’Aosta», così da condizionare «gli esiti delle competizioni elettorali a livello locale, sia comunale che regionale». Non solo: «Per il raggiungimento – continua la sentenza – di questi scopi associativi, i singoli associati pongono, altresì, in essere dei veri e propri delitti-scopo, idenitificabili nelle condotte di scambio elettorale politico-mafioso».
Sempre per i giudici, «è inoltre nella fascia di popolazione di origine calabrese residente nel capoluogo regionale e nelle località vicine che l’associazione fa pesare la sua presenza e la sua storia». In questo senso, nelle carte viene evidenziato come «chi si interpone o ostacola gli obiettivi o gli interessi dell’associazione viene “invitato” a desistere e tale risultato non è conseguito con l’intimidazione diretta o ancor meno con la violenza, ma con la sapiente opera di “persuasione”, posta in essere dai singoli associati nei confronti di chi è ben consapevole che sta parlando con un esponente della ‘ndrangheta valdostana e che è meglio non contraddirlo od ostacolarlo».
La tessitura dei rapporti con la politica
Nelle motivazioni viene sottolineato come la ‘ndrangheta radicata nel nord Italia «ha dismesso l’uso della violenza o dell’intimidazione diretta» preferendo «operare attraverso un metodo meno evidente ma non meno persuasivo ed efficace»; da qui l’espressione “mafia silente”.In questo modo, comunque, il Locale ha «ripetutamente condizionato lo svolgimento di competizioni elettorali in Valle d’Aosta». Tale condizionamento «si è in alcuni casi manifestato attraverso il sostegno a taluni candidati appartenenti a partiti politici anche diversi tra loro e in un caso ulteriore recando sostegno diretto a Nicola Prettico, uno degli affiliati, candidatosi alle elezioni comunali di Aosta nel 2015».
E, in questo senso, «non si tratta di una manifestazione di forza fine a sé stessa, bensì tesa a collocare in posizioni di amministrazione attiva persone di fiducia, che sarebbero state pronte in qualsiasi momento ad ascoltare e a soddisfare gli interessi o le richieste della consorteria mafiosa che ha contribuito ad eleggerle». Ecco perché, secondo il Tribunale, i componenti della consorteria criminale parlavano di «portare un candidato».
(f.d.)